IL BICAMERALISMO
L’art.55 cancella il sistema del bicameralismo perfetto, sgradito alla Costituente dalla maggior parte dei tecnici ma gradito – tenuto conto delle – allora – diverse età previste per i votanti, da coloro che volevano contenere il pericolo di un PCI al Governo.
L’eliminazione del bicameralismo perfetto non è un’idea nuova, è in discussione sin dagli anni Ottanta, cioè da quando ci si è resi conto degli svantaggi che il sistema provocava.
La situazione nell’Unione europea
- la maggioranza dei paesi della Unione Europea ha una sola camera (Danimarca, Croazia, Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia, Grecia, Norvegia, Portogallo, Svezia, Cipro, Bulgaria, Islanda)
- Hanno una seconda camera tutti i paesi del G8: Canada, Francia, Italia, Germania, Giappone, Regno Unito, Russia e Stati Uniti
- Tra i paesi che hanno una seconda camera solo in 5 paesi i suoi membri sono eletti direttamente dai cittadini.
- Tra questi 5 paesi solo in Italia, Polonia e Romania la seconda camera ha dei poteri legislativi rilevanti.
- Solo l’Italia ha un sistema parlamentare in cui il Senato ha esattamente gli stessi poteri della Camera.
Negli Stati Uniti vige in effetti un sistema di bicameralismo, nel senso che ciascuna legge deve essere approvata dalla Camera e dal Senato.
Tuttavia:
a) Camera e Senato hanno poteri parzialmente differenti. Per esempio, solo il Senato approva i trattati internazionali e approva la scelta del Presidente sulle nomine dei giudici federali e della corte suprema
b) se il Senato o la Camera introducono modifiche a un testo già approvato, non si torna quasi mai indietro, ma si affida a un apposito organismo di raccordo il compito di trovare un testo conforme (un sistema analogo vige in Francia).
c) inoltre, Camera e Senato sono formati in modo assai diverso: la Camera in proporzione alla popolazione di ciascuno Stato; il Senato, con due Senatori per ciascuno Stato, indipendentemente dalla popolazione. Se si affidasse alla sola Camera il potere di approvare le leggi, i piccoli Stati (Rhode Island, Delaware, Vermont) e quelli con poca popolazione (Wyoming, Maine) non avrebbero mai voce in capitolo.
Ecco il testo dell’articolo in questione.
ART.55
Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione.
La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle
funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Concorre alla valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni, alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato nonché all’espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge.
Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Molti mi hanno chiesto chiarimenti sul primo capitolo di illustrazione della riforma costituzionale.
Se la riforma è approvata:
a) I deputati rappresentano la Nazione – Il senato rappresenta le istituzioni territoriali.
b) la fiducia al Governo viene votata solo dalla Camera;
c) solo la Camera approva in via generale le leggi, salvo che nei casi e con i limiti espressamente previsti;
c) il Senato, tra i vari compiti, rappresenta Regioni e Comuni in sede di discussione delle leggi e dell’attuazione delle politiche comunitarie; non partecipando all’approvazione delle leggi, salvo che nei casi espressamente previsti, può incrementare le funzioni di studio, di controllo e di impulso sui progetti di legge, anche a sostegno delle esigenze regionali.
I Vantaggi di questa soluzione.
- Si evita il ping-pong nell’approvazione delle leggi
- C’è una specializzazione del senato in tutte le questioni regionali e comunali
- Si riducono i costi: i senatori sono meno e non ricevono compensi oltre a quelli già previsti dalle regioni e dai comuni
Sarebbe stato meglio il monocameralismo?
Molti hanno sostenuto che si sarebbe potuto fare a meno del Senato e passare a una sola Camera.
Fu soprattutto il Pci a proporre l’eliminazione del Senato (dopo aver sostenuto anche alla Costituente la tesi del monocameralismo).
Vantaggi: ulteriore riduzione dei costi
Svantaggi: mancanza di rappresentanza a livello centrale degli interessi locali
Tutti i paesi con un’organizzazione di tipo federale o comunque decentrato hanno una camera che rappresenta gli interessi locali. (G8).
va tenuto presente che, concentrandosi a seguito della riforma quasi tutta l’attività legislativa sulla Camera, il mantenimento del numero dei deputati oggi previsto – 630 – corrisponde a quello esistente in altri paesi dove la Camera ha analoghi poteri:
in Germania i deputati sono 622,
un po’ meno in Francia dove sono 577.
Nel Regno Unito, in sostanza un sistema monocamerale, i deputati sono 650.
Sono solo 435 negli Stati Uniti, ma non va dimenticato che lì il Governo federale si occupa di un ristretto numero di questioni rispetto agli Stati.
Infine, l’obiettivo di ridurre le spese va commisurato con l’obiettivo di garantire il principio democratico di un’adeguata rappresentanza, e quindi il rapporto tra parlamentari e popolazione.
La soluzione italiana è in linea con il rapporto esistente in molti paesi europei.
Se si considera il numero complessivo (deputati + senatori) previsti dalla riforma costituzionale , avremmo 730 parlamentari, quindi 1,2 ogni 100.000 abitanti.
Secondo un calcolo pubblicato qualche mese fa su Il Sole 24 ore, in questa classifica l’Italia è al 22esimo posto in Europa: 21 paesi hanno quindi un numero complessivo di deputati superiore a quello italiano, in rapporto con la popolazione
Una domanda per chiudere su questo punto
il nostro bicameralismo perfetto ha consentito di fare leggi perfette, o più democratiche, comunque migliori di quelle dei paesi dove il bicameralismo non c’è o è imperfetto?
LA CAMERA DEI DEPUTATI NELLA RIFORMA
Alla nuova Camera sono attribuite anche due nuove funzioni:
a) la funzione di controllo sull’operato del Governo, quindi con possibilità di interagire sulle scelte del Governo: è un potere più ampio del potere di sfiduciare il Governo, finalizzato ad accentuare il controllo democratico, dell’organo elettivo sul potere esecutivo
b) esercita la funzione di indirizzo politico.
Nella Costituzione vigente, la Camera non ha questa funzione. Si parla di indirizzo politico solo nell’art.95 ove si attribuisce al Presidente del consiglio dei ministri il compito di “mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo”. Anche questa è un’innovazione che aumenta il potere dell’organo elettivo rispetto all’esecutivo, limitando i poteri del Presidente del consiglio dei ministri. Se mai, c’è quindi una riduzione dei poteri del Presidente del Consiglio, non una “deriva autoritaria”
IL SENATO NELLA RIFORMA
L’Art.57 della Costituzione nella riforma costituzionale
“Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”.
Questo articolo:
a) riduce il numero dei senatori da 315 a 95, oltre a 5 nominati dal Presidente della repubblica.
b) prevede un metodo di elezione indiretto per i 95 senatori. Non è quindi vero che i senatori sono “nominati”.
c) prevede che l’elezione avvenga con metodo proporzionale (per tutelare le minoranze).
per l’elezione dei senatori è prevista un elezione di secondo grado. Questo significa che non sono direttamente eletti dal popolo, ma sono eletti da rappresentanti di organismi regionali eletti dal popolo.
L’elezione di secondo grado è comune in tutti i paesi nei quali il Senato rappresenta interessi e esigenze regionali
Alcuni esempi.
In Germania i membri del Bundesrat – equivalente al nostro senato – rappresentano i Lander (mi spiace, ho una tastiera senza Umlaut) e i governi regionali, sono eletti dal Bundesrat che può anche revocarli
In Austria il senato è composto da membri che rappresentano i 9 Lander e sono da questi eletti
In Francia i senatori vengono designati da un collegio di elettori su base dipartimentale, composto dai deputati di quel dipartimento, dai consiglieri regionali eletti nello stesso ambito dipartimentale e dai consiglieri del dipartimento stesso.
In Belgio (dove il bicameralismo perfetto è stato abolito nel 1995), i senatori sono in parte eletti a suffragio diretto, in parte designati dalle comunità confederate ed in parte cooptati.
La scelta operata dalla riforma di introdurre un Senato rappresentativo degli interessi regionali e di utilizzare un’elezione di secondo grado è quindi più o meno in linea con quella di molti paesi europei con una forte organizzazione regionale.
LA FORMAZIONE DELLE LEGGI
Un sistema di bicameralismo perfetto ha bisogno di sintetiche disposizioni che stabiliscono la formazione delle leggi, e lo stesso può dirsi per un sistema monocamerale.
Il sistema bicamerale che prevede diversi poteri a livello legislativo, deve stabilire i poteri di ciascuna camera.
La disciplina quindi è più complessa.
L’art.70 nella nuova stesura disciplina le modalità di predisporre le leggi nel nuovo sistema.
Prima di tutto, l’articolo indica i casi in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.
I casi più importanti sono:
le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche,
i referendum popolari,
le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni,
le leggi che stabiliscono le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.
In sintesi, è richiesta l’approvazione anche del Senato (come accade ora) per tutte queste leggi:
• leggi di attuazione costituzione su talune materie indicate
• leggi riguardanti l’ordinamento degli enti locali
• leggi di principio sulle associazioni fra comuni
• leggi di attuazione del diritto comunitario
• leggi di ratifica trattati UE
• leggi su prerogative dei senatori e sulla legge elettorale del Senato
• leggi di attuazione del titolo V (poteri delle regioni e degli enti locali).
Tutte le altre leggi sono approvate soltanto dalla Camera dei deputati.
Tuttavia, il Senato può richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge e la Camera è tenuta a pronunciarsi.
Oppure il Senato può anche decidere di esaminare i disegni di legge approvati dalla Camera e proporre modifiche al testo che vengono sottoposte all’esame della Camera che si pronuncia in via definitiva.
In conclusione, ci sono quattro ipotesi:
a) casi in cui la legge è approvata dalla sola Camera;
b) casi in cui si ristabilisce il precedente bicameralismo perfetto
c) casi in cui il Senato può promuovere l’adozione di una legge da parte della Camera; d)
d) casi in cui il Senato può proporre modifiche ad un testo di legge approvato dalla Camera.
Questi due ultimi casi corrispondono a casi analoghi previsti dalla Costituzione tedesca: l’artt.76 prevede che il Bundesrat – l’equivalente del Senato presenti un disegno di legge al Bundestag, l’equivalente della Camera, mentre l’art.77 prevede un potere di proporre modifiche da parte del Bundesrat ai disegni di legge del Bundestag.
L’IMMUNITA
È prevista da un articolo che non è stato modificato e, proprio per questo, ha sollevato molte critiche.
Si tratta dell’art.68 che proprio perché non è stato modificato, anche ai senatori nel nuovo senato.
è giusto?
Bisogna considerare che l’immunità parlamentare è una forma di garanzia per tutelare il potere legislativo dal potere esecutivo e da quello giudiziario, che potrebbero impedire a un parlamentare di esprimere le sue idee e di svolgere la sua attività politica.
È quindi particolarmente utile in Paesi – come il nostro – in cui la magistratura è totalmente indipendente dal potere esecutivo.
L’art.68 tutela i membri del parlamento per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. È una tutela che garantisce l’indipendenza e l’autonomia del singolo Parlamentare, anche al di fuori dell’attività parlamentare.
La tutela non si estende a opinioni espresse al di fuori dell’esercizio delle funzioni: la distinzione spesso è difficile e la Corte costituzionale si è spesso occupata della questione.
Questa tutela si estende anche ai senatori del nuovo senato, ovviamente limitatamente alle opinioni espresse in quanto senatori, non in quanto consiglieri regionali o sindaci.
Poi, l’art.68 prevede la necessità di un’autorizzazione della Camera di appartenenza per
a) perquisizioni personali o domiciliari;
b) arresto, salvo i casi di flagranza di reato o sentenze definitive.
Tutti i paesi europei prevedono forme di immunità per i membri del Parlamento: alcuni paesi (Spagna, Germania, Belgio e Francia) hanno sistemi più garantisti di quello italiano, altri (Olanda, Svezia, Regno Unito) sistemi più limitati.
Quale che sia l’estensione della tutela (che, ripeto, non è oggetto della riforma), la sua estensione anche ai membri del nuovo Senato è giustificata anche dal fatto che essi partecipano all’attività legislativa nei vari modi che ho indicato nel terzo capitolo.
IL CONTROLLO PREVENTIVO DI COSTITUZIONALITÀ SULLE LEGGI ELETTORALI
L’art.73 prevedeva, nel vecchio testo e prevede ancora nel testo della riforma che “le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione”.
Quindi, una legge viene approvata, viene trasmessa al Presidente della repubblica e, salvo incidenti, entra in vigore e viene applicata fino a che non viene abrogata, o sostituita da un’altra legge o viene dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.
La riforma introduce un secondo comma, che prevede un controllo preventivo sulla costituzionalità della legge prima che entri in vigore, in una specifica ipotesi
Questo controllo preventivo, riguardando la conformità della legge alla Costituzione, è affidato alla Corte costituzionale.
Nel nostro ordinamento, la Corte costituzionale interviene in due ipotesi base:
a) a seguito di rinvio da parte di un Giudice, per decidere se una norma di legge è conforme alla Costituzione (quindi, non c’è la possibilità, prevista in Spagna e negli ordinamenti di derivazione spagnola, del recurso de amparo, in base al quale chiunque – senza mediazione di un Giudice – può adire direttamente la Corte costituzionale per contestare decisioni del parlamento o del governo dalle quali si ritenga leso, dopo aver percorso i vari gradi di giudizio);
b) per risolvere conflitti tra i poteri dello Stato (quindi, come è accaduto recentemente, tra magistratura e governo in merito alla portata del segreto di stato) o quelli tra lo Stato e le Regioni, o quelli tra le regioni.
Queste ipotesi, di intervento successivo, sono rimaste invariate.
A queste si è aggiunto un giudizio preventivo di legittimità – quindi, prima dell’entrata in vigore della legge – sulle leggi elettorali: quindi sulle “leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, se l’esame preventivo venga richiesto “da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge”.
In questo modo si evita di utilizzare leggi elettorali per eleggere dei rappresentanti alla Camera o al Senato se vi sia il sospetto che possano essere dichiarate: è la situazione verificatasi con la legge elettorale n. 270 del 21 dicembre 2005, comunemente nota come legge Calderoli o Porcellum, dichiarata incostituzionale dopo che era stata utilizzata dal 2005 per eleggere la Camera dei deputati.
La legge elettorale entra quindi in vigore se nessuno chieda l’esame preventivo alla Corte costituzionale o se quest’ultima ne dichiara la compatibilità con la Costituzione.
LA RIPARTIZIONE DEL POTERE LEGISLATIVO TRA STATO E REGIONE
Uno dei temi più discussi della riforma è costituito dal nuovo assetto del potere legislativo. Ecco alcuni chiarimenti anche se chi vuole approfondire deve leggersi l’art.117 comparando il vecchio testo con il testo della riforma.
Va subito chiarito che la riforma interviene non sul testo originario della Costituzione, ma su quello introdotto dalla precedente riforma del 2001.
Quella riforma aveva previsto – art.117 –
materie con legislazione esclusiva dello Stato,
materie con legislazione esclusiva delle Regioni e
materie con legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. In queste ultime, l’attività legislativa spetta alle Regioni, la fissazione dei principi generali spetta allo Stato.
Soprattutto questa terza categoria e l’incertezza derivante dal “concorso” di Stato e regioni aveva incrementato in modo consistente i conflitti tra le Regioni e lo Stato e, di conseguenza, il carico della Corte costituzionale.
Un esempio tra i molti della difficoltà di stabilire una demarcazione: la materia ambiente riservata allo Stato e le materie di protezione del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali riservate alla legislazione concorrente sono state oggetto di continui dissidi e litigi tra regioni e stato.
L’art.117 nella sua precedente formulazione assegnava poi alle Regioni il potere legislativo “in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
La riforma:
a) elimina la legislazione concorrente. Quindi il potere legislativo diventa per alcune materie dello Stato, per altre delle Regioni.
b) Specifica le materia di legislazione esclusiva dello Stato (per esempio: attualmente rientrano nel potere legislativo dello stato (punto n) le “norme generali sull’istruzione” ; la riforma prevede “disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica”;
c) In alcuni casi attribuisce allo stato materie prima di legislazione concorrente (è il caso della valorizzazione dei beni culturali e dell’energia)
d) Individua alcune materie che rientrano nella potestà legislativa delle regioni,
e) mantiene ferma la competenza delle Regioni nelle materie non assegnate al potere legislativo dello Stato.
La riforma introduce inoltre la c.d. clausola di supremazia: lo Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Quindi, non è sufficiente “un interesse pubblico generale”, ma qualcosa di più, la “tutela dell’interesse nazionale”
Valutazioni
In generale, si può ritenere positiva l’eliminazione della legislazione concorrente che non ha dato buona prova in questi 15 anni
Vi è un accentramento di funzioni allo Stato, anche se non così importante come molti affermano, compensato dalla presenza di un Senato che è portavoce degli interessi regionali.
DEMOCRAZIA DIRETTA
Referendum abrogativo e referendum consultivo: art.75 e art.71 della proposta di riforma.
La riforma introduce due modifiche che ampliano in modo significativo gli istituti di democrazia diretta già previsti dalla Costituzione.
La prima modifica riguarda l’art.75 che disciplina il referendum abrogativo.
Nel testo attuale, la richiesta di referendum è ammissibile se sottoscritta da 500.000 elettori o 5 consigli regionali. La proposta è poi approvata a due condizioni: se ha partecipato al voto la maggioranza degli elettori aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validi espressi.
Lo scoglio divenuto quasi insormontabile è costituito dal quorum previsto per la validità della consultazione.
La disposizione che prevede un quorum della maggioranza degli elettori aventi diritto era infatti ragionevole finché la partecipazione al voto era elevata: fino agli anni Novanta, partecipavano alle votazioni oltre l’80% degli elettori. Dagli anni Novanta, la partecipazione al voto è progressivamente calata ed è aumentato l’astensionismo (come in tutte le democrazie occidentali): attualmente la media nazionale dei votanti per le elezioni politiche si aggira sul 60% degli aventi diritto (con forti differenze nelle varie aree geografiche).
Così, poiché gli elettori sono circa 50 milioni, in base alla norma vigente, il referendum è approvato se partecipano al voto almeno 25 milioni di elettori.
Poiché al voto in occasione di un referendum partecipano prevedibilmente circa 35 milioni di elettori. Il superamento della soglia della maggioranza degli elettori aventi diritto è quindi un’impresa assai ardua, soprattutto se gli elettori contrari scelgono di non andare a votare. In questo modo, è sufficiente che il 15\20% degli elettori sia contrario alla proposta e non voti perché il referendum fallisca.
Infatti, l’ultima volta in cui è stato raggiunto il quorum per un referendum abrogativo è nel 1995, oltre venti anni fa.
Con la norma introdotta dalla riforma, è prevista una importante modifica che da maggior spazio al referendum e quindi alla democrazia diretta. Resta ferma la vecchia regola se la richiesta è sottoscritta da 500.000 elettori. Ma si aggiunge una nuova disposizione, in base alla quale, se la richiesta è sottoscritta da 800.000 elettori, è sufficiente che il referendum sia approvato dalla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati. Il quorum è così ridotto in modo significativo. Alle ultime elezioni politiche del 2013 hanno votato circa il 75% degli aventi diritto, quindi circa 36 milioni di elettori. Il referendum, se richiesto da 800.000 elettori, potrà essere approvato se partecipano al voto 18 milioni di elettori e la proposta è approvata da 9 milioni.
È prevedibile quindi che l’istituto del referendum abrogativo avrà una nuova vita.
La seconda modifica riguarda due istituti: l’iniziativa popolare e il referendum propositivo.
Il primo istituto – l’iniziativa popolare delle leggi – era già disciplinato dall’art.71. Finora l’iniziativa popolare delle leggi consisteva in una proposta sottoscritta da almeno 50.000 elettori, ma non vi era alcun obbligo da parte del Parlamento di esaminarla o di prenderla in considerazione. Per questo, l’istituto era praticamente inutilizzato. Il nuovo art.71 prevede che la proposta di legge di iniziativa popolare sia sottoscritta da un maggior numero di elettori, 150.000. Ma stabilisce anche che la proposta sia obbligatoriamente esaminata nei tempi e nelle forme stabiliti dai regolamenti parlamentari.
Il nuovo testo dell’art.71 prevede inoltre un istituto completamente nuovo, i “referendum popolari propositivi e d’indirizzo”, rinviando a una apposita legge costituzionale la determinazione delle condizioni e degli effetti.
In definitiva, la “voce” degli elettori potrà farsi sentire, oltreché partecipando al voto, anche in tre diverse modalità: nel tradizionale referndum abrogativo, con ampliamento dellepossibilità di successo; nell’iniziativa popolare delle leggi, già esistenti, ma ora sostenuta dall’obbligo di esame da parte del Parlamento; infine, da un nuovo istituto, il referendum propositivo o di indirizzo, con cui potrà essere introdotta una nuova legge o indicato un indirizzo politico da seguire (per esempio, in materia di politica energetica o ambientale).
I DECRETI GOVERNATIVI
Molte innovazioni porta la proposta di riforma al sistema dei decreti governativi previsto dall’art.77 della Cost. e cioè i provvedimenti adottati dal Governo aventi forza di legge ordinaria, esercitando quindi il potere legislativo che spetta al Parlamento.
Si tratta di provvedimenti consentiti dal vigente testo in due circostanze:
- Decreti adottati su delega delle Camere
- Decreti adottati in caso di straordinaria necessità e urgenza, noti come decreti- legge. Un decreto legge è stato recentemente utilizzato dal Governo per disporre gli interventi e i finanziamenti in occasione del terremoto nel Centro Italia. In questo caso, le Camere devono convertire il decreto in legge entro 60 giorni. Se la conversione non avviene, il decreto perde automaticamente efficacia, restando salva la possibilità del Parlamento di regolare la sorte dei rapporti giuridici sorti durante la vigente del decreto-legge (si pensi a un decreto fiscale, per esempio di aumento del prezzo della benzina, che non viene convertito. Le somme pagate da ciascun automobilista in eccesso dovrebbero essere restituite, a meno che con una legge non si disponga altrimenti).
In entrambi i casi le innovazioni sono nel senso di limitare le possibilità del Governo di utilizzare lo strumento del decreto.
Nel primo caso, è previsto che la delega delle Camere possa avvenire solo con legge: precisazione utile, anche se superflua in quanto la delega è già solitamente avvenuta mediante legge, anche se molti ritengono che, in base al testo vigente, la delega potrebbe avvenire mediante semplice deliberazione del parlamento. La riforma preclude questa possibilità.
Più importanti le limitazioni introdotte nel secondo caso. Spesso, nel passato, si sono verificati eccessi o abusi nell’utilizzo della decretazione d’urgenza. Nei sistemi maggioritari, come è il caso italiano dall’inizio degli anni Novanta, gli abusi e gli eccessi sono molto diminuiti, essendovi di norma una continuità tra Governo e Parlamento.
La riforma prevede:
- il divieto di utilizzare il decreto legge in materia costituzionale ed elettorale, per autorizzare la ratifica dei internazionali e per l’approvazione di bilanci e consuntivi;
- il divieto di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; la reiterazione dei decreti legge era una prassi frequentemente utilizzata in passato: alcuni decreti-legge sono stati reiterati per diecine di volte; il record è stato 26 volte. Dal 1996 questa prassi è stata abbandonata a seguito della sentenza della Corte costituzionale n° 360 del 1996. Con la riforma, diviene un atto contrario alla costituzione.
- il divieto di ripristinare l’efficacia di norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi per questioni di merito.
La riforma vieta inoltre una prassi assai utilizzata in passato e cioè l’utilizzazione da parte del Parlamento di utilizzare la conversione del decreto legge per introdurre anche altre disposizioni. SI stabilisce così che “nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto”.