L’ANIMALE PARLANTE

The human faculty of language appears to be organized like the genetic code – hierarchical, generative, recursive, and virtually limitless with respect to its scope of expression.

La facoltà umana del linguaggio appare essere organizzata come il codice genetico: gerarchica, generativa, ricorsiva e virtualmente illimitata quanto alle sue possibiltà espressive.

Hauser, Chomsky e Fitch (Science 2002)

Prefazione

Questo libro contiene una breve introduzione alle scienze del linguaggio destinata sia a chi è curioso di conoscere i molti risvolti di questa facoltà prettamente umana, che la maggioranza di noi dà per scontata, sia agli studenti universitari di uno dei tanti corsi di laurea che includono un insegnamento di linguistica in varie Facoltà umanistiche e scientifiche, sia, e forse soprattutto, ai giovani che non abbiano ancora deciso il proprio indirizzo di studio e siano interessati a scoprire i molteplici risvolti del linguaggio. È una introduzione nel senso letterale della parola: senza nessuna pretesa di esaustività o di approfondimento ha l’intenzione di iniziare il lettore a un mondo complesso e di stimolare lo studente ad approfondire uno o più dei campi che vi sono trattati.
Mentre tradizionalmente gli studi linguistici in Italia sono considerati letterari, si scoprirà in questo libretto che essi non necessariamente sono tali. Anzi, molte delle discipline linguistiche più all’avanguardia oggi sono idonee e potranno dare grande soddisfazione a chi sente di avere il ‘pallino della matematica’. Queste vanno dalla psicologia cognitiva alla neuropsicologia, dalla linguistica formale all’informatica, dalle scienze dello sviluppo allo studio della comunicazione animale.
L’esigenza di scrivere questo libro è nata appunto dal voler indicare diverse strade adatte a persone con interessi di base diversi, per una comprensione più profonda di quella che è probabilmente la caratteristica che più di ogni altra distingue la nostra specie dalle altre specie del mondo animale.
Ogni capitolo è leggibile indipendentemente dagli altri, anche se la prima parte sulla competenza linguistica forma una base per una maggiore comprensione del resto del libro.

Indice

Premessa
Ringraziamenti
Indice
1. Introduzione alle scienze del linguaggio
2. Parliamo perché pensiamo o pensiamo perché parliamo? Linguaggio e pensiero

Parte Prima
La competenza linguistica
3. La forma dei suoni linguistici: Fonetica
4. La struttura del messaggio sonoro: Fonologia
5. Dentro la parola: Morfologia
6. Le parole nella frase: Sintassi
7. Il significato delle espressioni linguistiche: Semantica
8. Tra lingua e musica: Metro poetico

Parte Seconda
Linguaggio e Scienze Cognitive
9. Lo sviluppo del sistema linguistico nell’infanzia: L’acquisizione della madrelingua
10. Disturbi del linguaggio: afasia e deficit congeniti
11. Vedere il linguaggio: La lingua dei segni
12. Codici circoscritti: La comunicazione animale

Parte Terza
Variazione linguistica
13. Di generazione in generazione: Il cambiamento linguistico
14. La creazione del linguaggio: Dai pidgin alle lingue creole
15. Rappresentazioni visuali: Sistemi di scrittura

16. Ulteriori prospettive nelle Scienze del Linguaggio

Riferimenti bibliografici
Indice Analitico

Capitolo 1. Introduzione
Questo libro è destinato a chi si è mai chiesto, o desidera cercare di capire, perché noi parliamo, mentre non parlano gli animali intorno a noi, che pure sembrano essere capaci di comunicare alcune informazioni e con i quali siamo in grado di comunicare alcune intenzioni. Il presente testo è una prima esplorazione nel mondo del linguaggio, una delle principali facoltà che distinguono gli esseri umani dagli altri esseri del mondo animale. Tratta dell’abilità, che accomuna gli esseri umani, a comunicare i loro messaggi in un modo sorprendentemente preciso e naturale. Abbiamo definito ‘naturale’ tale comunicazione perché essa si sviluppa negli esseri umani a contatto tra di loro senza alcuna istruzione esplicita fin dal primo giorno della loro vita. Il fatto che solo gli esseri umani esposti al linguaggio lo acquisiscano, rende il linguaggio una caratteristica biologica della nostra specie. E il fatto che una lingua si impari perfettamente e senza sforzi nei primi anni di vita, e mai in maniera perfetta, nonostante i grandi sforzi, da adulti, fa del linguaggio una disposizione genetica che sparisce ad un certo punto dello sviluppo, come spariscono i denti da latte.
Questo viaggio esplorativo nel mondo del linguaggio non si soffermerà perciò solo sui diversi aspetti della grammatica delle lingue naturali, ma anche su come questi aspetti si acquisiscano da bambini. Tratta cioè dell’inevitabilità dell’acquisizione del linguaggio in bambini senza deficit specifici esposti ad una lingua naturale e delle tracce che tale lingua lascia nel nostro cervello e che si manifestano chiaramente nel cosiddetto ‘accento straniero’ quando impariamo una nuova lingua da adulti.
Dato che sul nostro pianeta vengono parlate circa seimila lingue diverse, è chiaro che non ci può essere nulla di necessario nella relazione tra suoni e significati: essi sono infatti arbitrari. Il linguaggio specifico cui si è esposti va perciò imparato. Ma questo apprendimento avviene senza che ce ne rendiamo conto nei primi anni di vita. Le lingue non differiscono tra di loro solo per il lessico, ma anche per avere strutture grammaticali diverse: chi imparasse tutte le parole dell’inglese ma tentasse di disporle secondo la sintassi e la fonologia dell’italiano, otterrebbe un sistema che potremmo chiamare ‘inglese maccheronico’. Una lingua infatti è costituita sia dal lessico sia da strutture precise che ne formano la grammatica, ed un essere umano venendo al mondo deve imparare queste due componenti del linguaggio cui è esposto.
Sotto le grandi differenze superficiali che si possono notare tra lingue diverse, le strutture grammaticali sono simili se analizzate in modo sufficientemente astratto: dei principi universali governano la loro struttura, sia che si tratti di struttura interna alle parole o alle frasi, sia che si tratti di struttura che governa i suoni o i significati. La grammatica è infatti un sistema formale in cui alcune strutture sono ammesse e altre no. Una lingua può cioè ‘scegliere’ determinate strutture grammaticali solo tra quelle che sono universalmente possibili. Data la numerosità delle lingue del mondo si può assumere che una grammatica non attestata in nessuna lingua sia una grammatica impossibile da apprendere per il cervello umano dotato della anatomia e della fisiologia attuali. Si fa cioè l’assunzione che i principi validi per tutte le lingue siano universali e che non possano esistere lingue che li violano. Va notato che questa teoria della grammatica non nasce da una necessità logica, ma presuppone un metodo scientifico che ci permette di fare ipotesi falsificabili. L’approccio della linguistica moderna, dovuto alla rivoluzione nel modo di pensare al linguaggio iniziata da Noam Chomsky, consiste nel fare le massime generalizzazioni possibili che siano coerenti con i dati a disposizione. Se si trovano lingue che rappresentano controesempi all’ipotesi, si farà un’ipotesi di portata inferiore. Se invece non si trovano controesempi, si sarà fatto un grande passo avanti nella comprensione del meccanismo del linguaggio. Lo studio approfondito dei sistemi grammaticali ci offre perciò uno strumento prezioso per capire molteplici aspetti della mente umana.
Una caratteristica della competenza grammaticale della madrelingua, su cui ci soffermeremo, consiste nel fatto che non possediamo tale competenza in modo cosciente. Tutti sappiamo, per esempio, come usare la parola ne in italiano. Ma se, senza essere linguisti, proviamo a spiegare a una persona che non sa l’italiano come usarla, ci accorgiamo che non ne siamo in grado. La conoscenza che abbiamo della parola ne, e di gran parte della grammatica, è pertanto una conoscenza particolare, in quanto non siamo consapevoli di come la usiamo: impariamo a parlare come impariamo a vedere o a camminare: senza avvederci dei meccanismi che governano le varie competenze che acquisiamo.
Nel percorso che seguiremo in questo libro considereremo quasi esclusivamente la lingua orale, e il suo corrispondente nella modalità manuale usata nelle lingue dei segni. La lingua scritta, invece, non è una espressione naturale nel senso in cui lo sono la lingua orale e la lingua dei segni. È infatti determinata da una convenzione sociale che va appresa con un’apposita istruzione esplicita di durata variabile: da un anno nel caso della scrittura alfabetica, che viene usata per esempio in italiano, a cinque anni, nel caso della scrittura che usa caratteri, che viene usata per esempio in cinese.
Inoltre la forma scritta non accomuna tutti gli esseri umani, ma piuttosto la sottoclasse di questi, che consiste di persone adulte e partecipi di una cultura scritta: quindi un sottoinsieme naturale – gli adulti – che appartengono ad un sottoinsieme culturale – coloro che hanno appreso la grafia. La lingua orale accomuna invece tutte le persone udenti e senza deficit specifici, indipendentemente dalla loro cultura.
Abbiamo detto ‘persone udenti’ perché per potere acquisire la capacità di parlare, senza istruzioni esplicite, bisogna sentire la parlata di altri. Non esistono i sordo-muti, o meglio, i sordi non sono in genere anche muti: chi non impara a parlare, generalmente non impara esclusivamente perché non sente. Essi acquisiscono però un altro linguaggio se esposti ad esso: il linguaggio dei segni, un linguaggio che condivide molte caratteristiche strutturali col linguaggio orale, ma non, ovviamente, la modalità. È, però, un linguaggio naturale, nel senso che viene appreso, in modo del tutto simile al linguaggio orale, e con tappe del tutto simili, da bimbi esposti ad un ambiente in cui i segni siano il mezzo espressivo usato. Che si possa pronunciare quello che si sente, possiamo dedurlo anche dall’accento straniero: se, essendo parlanti nativi dell’italiano, omettiamo il suono aspirato all’inizio di parole inglesi come hear o harbour è perché non lo sentiamo. Anche le persone udenti hanno infatti un tipo di ‘sordità’, limitata alle lingue straniere.
Non solo gli esseri umani hanno un modo di comunicare tra di loro (con suoni o con segni): anche altri animali hanno il modo di scambiarsi informazioni di vario tipo. La loro comunicazione, che prende forme assai diverse nelle diverse specie, è però sempre limitata ad un numero fisso di messaggi. Non ha cioè la caratteristica principale che definisce il linguaggio umano, che consiste nella capacità di formare frasi nuove e forse mai sentite. Infatti il linguaggio umano è creativo e la creatività si basa su un meccanismo computazionale che è assente dalla comunicazione animale e che ha invece molti aspetti in comune con la nostra abilità matematica. Il linguaggio umano è perciò un sistema formale che ha una base biologica.
La base biologica del linguaggio è chiaramente osservabile in persone con deficit specifici del linguaggio, sia genetici sia acquisiti. È infatti noto che bambini con un livello di intelligenza nella norma possano avere problemi nello sviluppo linguistico tendenti a manifestarsi in modo simile, come la difficoltà ad imparare la struttura morfosintattica. La recente scoperta di una famiglia in cui diversi membri avevano questo tipo di deficit ha portato alla scoperta di un gene del linguaggio. Inoltre casi di afasia, cioè di deficit linguistici acquisiti, hanno portato alla localizzazione di alcune aree del cervello specificamente preposte al controllo linguistico, localizzazione che arriva a livelli di specializzazione sorprendenti come nel caso di un paziente che dopo un ictus ha avuto disturbi fonologici che riguardavano quasi unicamente le vocali, e in quello di un altro paziente che in seguito a un ictus, in una zona lievemente diversa, ha avuto disturbi quasi unicamente riguardo alle consonanti. La localizzazione di aspetti specifici del linguaggio diventa sempre più precisa anche grazie alle moderne tecniche non invasive di neuroimmagine che ci permettono di vedere quali aree si attivano durante compiti linguistici specifici.
Le lingue umane sono sistemi in costante modificazione e i cambiamenti che subiscono sono messi in moto dall’uso. Una lingua parlata in una comunità linguistica, la cui grammatica e il cui lessico rimangano immutati non esiste: anche se molti resistono alle innovazioni nella loro madrelingua, questa continuerà il suo processo. Se il processo non ci fosse, non avremmo spiegazione del fatto che tutte le lingue romanze hanno caratteristiche grammaticali e lessicali diverse da quelle del progenitore comune: il latino. I cambiamenti che portano a delle variazioni linguistiche sono sempre dello stesso tipo: sia che avvengano nel corso della storia, sia che distinguano due varietà regionali della stessa lingua, sia che facciano parte della competenza di un singolo parlante in un dato momento.
Questo libro avrà raggiunto il suo scopo se avrà suggerito che il linguaggio è un fenomeno meraviglioso e per molti versi misterioso la cui investigazione può – e deve – partire da campi scientifici diversi: solo la convergenza di dati ottenuti con metodologie diverse ci può portare a veri progressi nella sua comprensione.

Quarta di copertina
Siamo abituati a considerare il parlare un’attività che non richiede sforzi specifici: ci viene in mente di dire qualcosa e il nostro apparato vocale esegue il compito di tradurre i pensieri in suoni linguistici. Sotto la sua apparente semplicità, il compito di tradurre in suoni il nostro pensiero è in realtà molto complesso.
L’animale parlante è una introduzione ai diversi campi scientifici che si occupano dell’analisi del linguaggio umano, compresi i sistemi linguistici che usano la modalità visivo-manuale, come le lingue dei segni. Il libro comprende, oltre ad una prima parte sulla competenza grammaticale, capitoli sullo sviluppo dei linguaggio nell’infanzia e su diverse patologie linguistiche. Tratta inoltre delle caratteristiche distintive del linguaggio umano confrontato con diversi sistemi di comunicazione animale.
Questo volume si rivolge a chiunque voglia scoprire la complessità del linguaggio umano e conoscere gli obiettivi delle diverse scienze del linguaggio e in particolare agli studenti di uno dei tanti corsi di laurea che includono la linguistica.

Marina Nespor è professore ordinario di Linguistica Generale all’Università di Ferrara. I suoi principali interessi scientifici riguardano la struttura del messaggio sonoro e il modo in cui questa è utilizzata durante l’acquisizione della madrelingua come chiave alla scoperta del sistema linguistico. E’ stata affiliata per molti anni all’Università di Amsterdam e a HIL (Holland Institute of Linguistcs) e collabora ora con il Centro di Neuroscienze Cognitive della SISSA di Trieste. Tra i suoi lavori figurano i libri Prosodic Phonology, coautore, (1986, Foris) e Fonologia (1993, il Mulino) oltre a numerosi articoli in riviste internazionali.

Donna Jo Napoli è professore ordinario di Linguistica Generale a Swarthmore College, negli Stati Uniti. La sua ricerca si concentra sulla sintassi dell’italiano e sulla morfologia della lingua dei segni americana. Fra i suoi libri figurano testi pedogogici come Syntax: Theory and Problems (1993, Oxford University Press) , testi scientifici come Predication Theory: a Case Study for Indexing Theory (1989) Cambridge University Press e testi divulgativi come Language Matters (2003, Oxford University Press).